IL GUFO
riconoscere alberi ed arbusti
hamamelis x intermedia jelena
fioritura invernale
fioritura invernale
A distanza di qualche tempo torno a scrivere sull'argomento Nyssae, sul quale mi ero già dilungato in precedenza.
La Nyssa Sylvatica propriamente detta è specie, una volta radicata nel terreno, non particolarmente esigente in fatto di approvvigionamento idrico, soggetta saltuariamente ad afidi e rodilegni (che possono essere veramente devastanti) si adatta comunque perfettamente al nostro territorio offrendo con i propri frutti nutrimento alla fauna selvatica, senza per questo risultare infestante.
Negli articoli che la riguardano è considerata pianta esclusivamente da terreni umidi, se non addirittura da paludi. Effettivamente, in Europa in genere, la pianta viene considerata un'unica specie, mentre nei luoghi d'origine (il continente nordamericano) distinguono chiaramente la Nyssa Sylvatica (blackgum) dalla Nyssa Biflora (swamp tupelo); anzi, a dire il vero, anche all'interno dello stesso "blackgum" ne distinguono 2 o più varietà (a seconda della forma della foglia e dalla zona di provenienza). Tralasciando quest'ultima sottile differenza, soffermiamoci su quella, per noi più importante, tra la N. Sylvatica e la N.Biflora. La N.Biflora è un albero che vive decisamente in ambienti umidi, spesso inondati, comunque costantemente a contatto con l'acqua e, in queste condizioni, è facilmente riconoscibile: la foglia più stretta, la base del tronco ingrossata, il numero elevato di lenticelle, scarsa ramificazione nella parte inferiore del tronco, il tronco stesso più lungamente liscio, o comunque meno fessurato, fanno si che sia abbastanza identificabile. Bene, tutto questo, come dicevo, a patto che la N.Sylvatica e la N.Biflora crescano nei 2 rispettivi ambienti, perchè qualora tutto ciò non avvenga, la distinzione diventa molto più labile. A titolo dimostrativo presento le foto di una N. Sylvatica cresciuta in un corpo d'acqua temporaneo: come si può notare, mostra segni di stress sempre più evidenti: crescita ridotta, foglie più piccole, con arrossamenti e caduta di queste, internodi molto più ravvicinati. Lo stesso fatto sta avvenendo, ovviamente al contrario, in una N. Biflora cresciuta in un punto asciutto, in quest'ultima è evidente la crescita stentata.
Aggiungo ora una foto per comparazione di una giovane N.Aquatica: la somiglianza con la N.Biflora è evidente; mi domando a questo punto se non sia ipotizzabile una qualche forma di ibridazione tra la N.Sylvatica e N.Aquatica che abbia originato il Tupelo di palude (Nyssa Biflora). A prescindere da ciò l'importanza del riconoscimento della pianta, sia da parte dell'acquirente finale, sia da parte del vivaista, che magari la può anche innestare su una delle numerose cultivars, darà la misura del successo nell'accrescimento della stessa o contribuirà ad accrescere la percezione della Nyssa come albero difficile, lento, insomma da evitare.
nyssa biflora in ambiente arido
metasequoia glyptostroboides piantina alta 30 cm
conifera spogliante dal portamento elegante vivace colorazione autunnale
piantina alta circa 30 cm
metasequoia glyptostroboides seedling high 30 cm
deciduous conifer elegant bearing vibrant autumn coloring
seedling height of about 30 cm
lun
19
mag
2014
Nel terreno che un po' pomposamente chiamo a volte giardino, a volte parco, fra le molte specie animali che lo visitano più o meno assiduamente, questa primavera una coppia di tarabusini ha deciso di nidificare.
Il tarabusino, mi erudisco su internet, è il più piccolo rappresentante degli Ardeidi, cioè un piccolo airone (altri: cinerini, rossi, insieme a garzette e sgarze visitano con una certa frequenza lo stagno del terreno in questione) piuttosto raro, circa 2000 coppie nidificanti in Italia, elusivo, con un marcato dimorfismo sessuale.
Tralascio i commenti sul loro esiguo numero e sul fatto che abbiano scelto proprio 'sto buco di stagno temporaneo per fare il loro nido (un coacervo di rami piuttosto rudimentale incastonato alla prima biforcazione di un salice cresciuto all'interno della vasca in questione, perlomeno al di sopra delle radici avventizie) che il sottoscritto ha fatto al momento della scoperta che, dopo aver terminato il nido, ovviamente avevano deposto pure 5 uova.
Il pennuto in questione, anzi, entrambi i pennuti, non gradiscono affatto la presenza dell'essere umano; io, pur propendendo decisamente verso qualsivoglia specie animale, corroborato in questo dagli aggettivi affettuosi della mia compagna, assomiglio ancora un po' troppo al bipede incriminato.
Visto che, ad ogni avvicinamento, corrispondeva una loro fuga dallo stagno e quindi dalla cova, verso i cespugli ed il canneto poco distante, ho deciso di tralasciare la cura momentanea di quella parte del giardino; inoltre, visto che il livello dell'acqua tendeva ad abbassarsi in maniera preoccupante, ho iniziato ad aggiungere acqua (cosa ancora possibile, ma con il passare del tempo sempre più improbabile).
Allo stato attuale non so assolutamente quale sarà l'epilogo della vicenda, se la coppia di volatili riuscirà a superare tutti i pericoli della cova prima e dello svezzamento poi, oppure il tutto sarà vanificato da qualche evento malaugurato.
Da parte mia, nessun altro intervento, anche e soprattutto per non compromettere con un aiuto maldestro l'eventuale riuscita della cova.
Nell'attuazione di un giardino naturale (ovviamente, in un contesto ancora non completamente compromesso), tanto si è più rigorosi nell'applicazione dei dettami della natura, quanto questi eventi diventano tutt'altro che improbabili e sono proprio questi episodi che fanno diventare significativa l'esistenza stessa del giardino.
gio
23
gen
2014
Bosco di Foglino: immagini di una sconfitta
Il bosco di Foglino è un esempio di foresta umida planiziale mediterranea; di questa antica foresta, che insieme a quella che vegetava nell'entroterra formava la vasta selva di Nettuno, oggi ne rimangono pochi e minuscoli lembi, che poco hanno a vedere con l'originaria maestosità. Logico quindi pensare che questi 550 ettari siano conservati come un fiore all'occhiello da parte dell'amministrazioni locali e non.
Gennaio 23
Giornata grigia, giornata invernale; finalmente, mi verrebbe da aggiungere: è la prima qui, temevo la stagione nemmeno cominciasse. Ho voglia di andare a Foglino, qui, dietro casa; lo stato d'animo è in sintonia con il cielo plumbeo, ho bisogno di ascoltare, ho bisogno di silenzio, ho bisogno di quel senso di protezione che solo il bosco mi può offrire.
Ci sono da superare alcuni ostacoli, ormai consueti in molte zone verdi della zona, quasi a simboleggiarne l'interesse che suscitano nella popolazione: poco prima di parcheggiare infatti, la strada è stata riempita di calcinacci, un paio di televisori, un frigorifero, una poltrona sfondata fanno bella mostra di sè in maniera sfacciata, indiscreta, poi alcuni immancabili mucchi di immondizia, sacchi e sacchi, alcuni stracciati sparpagliano lungo il sentiero il loro variopinto, degradante contenuto, e danno una connotazione sempre più precisa al luogo; quindi una "pubblica donna" mi chiede gentilmente se posso spostare l'auto per non intralciarle l'attività. All'ingresso, sulla destra, una costruzione abusiva ha aperto un cancelletto sulla macchia, hanno abbattuto alcuni alberi, hanno piantato una yucca, un abete e qualche altro cespuglio,"così, per abbellire" ti rispondono se chiedi qualcosa. Vado avanti pochi metri e trovo un accampamento di senza tetto: un paio di tende, qualche corda con appesi teloni di plastica come a creare una sorta di privacy, stracci, pentole, panni ad asciugare, carabattole varie, miseria e disperazione, quando ti strappano anche la dignità; ma proprio qui, perlamiseria,...vabbè, magari, in seguito ad un'interrogazione comunale, qualcun altro sfruttando l'emergenza abitativa di quei disgraziati, riuscirà a costruircisi una villa al posto della baracca. E quelli che occupano la tenda? Oh beh, quelli chissenefrega, troveranno un altra soluzione. Che nausea!
Ho deciso, provo ad entrare da un altro ingresso, ma la situazione non migliora molto: dalla parte dove c'è la lapide commemorativa dello sbarco alleato (proprio ieri ne celebravano la ricorrenza, che ironia) l'ingresso è chiuso a catena "per non far fuggire gli animali" mi risponde premurosamente un tizio arrivato sgommando con un auto in mezzo a pecore, capre, oche e cani ed apre il lucchetto; io lo guardo basito, ma entro. Lo sguardo va subito dove le querce monumentali accolgono i visitatori...molte sono state tagliate, immagino per poter far legna, o per creare uno spazio picnic, o per entrambe le cose, o qualunque altra ma, comunque, non ci sono più.
Mi incammino, un po' contrariato, verso l'interno e raggiungo il laghetto Granieri.
Qui si sono dati veramente da fare: il perimetro dello stagno è stato "ripulito", tagliati quindi, tanto per cambiare, ontani, carpini, cerri e qualche farnia. Tolto un "inutile e sporco canneto", è stata creata una strada che circonda il lago e persino l'illuminazione con dei fari a giorno su tutto il bacino, getti d'acqua che decorano lo specchio a guisa di fontana, spazi barbecue e picnic ed un numero impressionante di palmipedi, oche, papere, anatre che ti accolgono festanti e starnazzanti; da una parte, discreto (sic), un chiosco bar, ristorante, pizzeria, dall'altra la discoteca serale. Guardo in basso, avvilito, e vedo accorrere alcune fameliche testuggini americane, mentre in pochi cm d'acqua alcuni gamberi rossi americani (procambarus clarckii) stanno demolendo alcune superstiti piante palustri. Gli artefici di tutto questo "miracolo ambientale" ti accolgono con malcelato orgoglio e ti spiegano che, "dopo aver combattuto aspramente per poter ottenere questo spazio ed averlo ripulito e reso agibile per la cittadinanza, sperano di poter fare altrettanto con il resto del bosco, perchè ci tengono al verde e loro sanno come fare". Leggermente frastornato (non so se più dalle strida degli anatidi o dal senso delle parole di questi simpatici "ambientalisti ante litteram") convengo che sicuramente il comune, visto l'interesse quasi scientifico con il quale si stanno occupando della cura e soprattutto dello smantellamento del bosco e della vita all'interno di esso, non potrà fare a meno di darglielo in gestione.
Meditando sulla probabile confusione concettuale fra parco pubblico e riserva naturale
Vorrei, a questo punto, tornare a casa ma, visto che sono vicino, mi avvio verso vallone cupo, facendo alcune considerazioni piuttosto cupe sul destino di questo bosco planiziale, vestigia di un tempo che non potrà più esistere, almeno fino a quando esisteremo noi. In quel laghetto dove fino a non troppi anni prima, nuotavano e si riproducevano raganelle, tritoni, rane dalmatine, testuggini palustri, aironi, beccacce, garzette, nitticore e tanta altra fauna selvatica, bene tutto ciò in un istante demolito, dissolto, distrutto, fra l'incuria, il disinteresse, l'ignoranza ottusa ed ebete, l'interesse astuto e (nuovamente) ottuso ed ebete...che miscellanea di qualità umane.
Lungo il percorso, quasi metaforicamente a simboleggiare la resa della Natura, mi accompagnano alcuni cani (selvatici?) abbaianti, insieme alla presenza di specie allogene come il già citato gambero rosso, la testuggine americana, la gambusia fra la fauna e eucalipti e koelreuterie fra la flora anche loro contribuiranno, loro si inconsapevolmente, al deterioramento ed alla scomparsa di questo delicato biotopo umido (tant'è vero che era stato censito come sito di importanza comunitari:S.I.C.), esempio realmente quasi unico in Italia, biocenosi, comunità di organismi provenienti da un affascinante, nebbioso, silenzioso mondo non troppo lontano nel tempo, che dalla nascita della nostra specie ci accompagna; ma ora ingombrante e scomoda presenza.
Grazie al contributo della Università Agraria, del Comune, di tutti gli Enti preposti e, non ultimo, di tutta quella cittadinanza che strenuamente hanno combattuto all'unisono affinchè, finalmente, la natura selvaggia fosse plasmata ad una dimensione umana simile alla loro, Nettuno ha il parco, bosco, spazio verde che si merita, simpaticamente decorato dal civile comportamento di tutti coloro i quali ne usufruiscono abitualmente.
Non sia offuscata neppure da un'ombra la torpida e beota (ops, ovviamente intendevo beata) certezza di aver compiuto i passi necessari, magari istituendo una scuola di educazione ambientale, un centro studi per la salvaguardia delle zone umide, organizzando visite guidate, istruendo guide, magari chiedendo contributi europei per preservare un gioiello irrepetibile per i propri figli; cultura? istruzione? memoria del passato? Non sia mai, meglio veder scomparire endemismi ad un passo dall'estinzione (mi riferisco in special modo alla presenza di Notostraci, alcuni crostacei, Emys Orbicularis ma anche Carpinus Betulus, Sorbus Torminalis...), avanti, che c'è modo, spazio, tempo, per migliorare e contribuire al progresso...triste il futuro per un popolo che cancella il proprio passato.
Non sta comunque a me, semplice visitatore abituale, dire cosa andava fatto, o cosa si potrebbe ancora fare; sicuramente non questo scempio, questa sequenza incredibile di disinteresse, rapina dell'ambiente, ignoranza ed arroganza nella gestione che suscita solo vergogna.
Vergogna, per la prima volta ho provato veramente vergogna a mostrare al mondo ciò di cui siamo capaci quando ci danno la responsabilità di salvaguardare una bellezza naturale, storica (dopotutto qui ancora si indovinano i crateri delle bombe della seconda guerra ed è stata una testa di ponte dello sbarco: che rispetto per noi stessi), ambientale che pochi hanno avuto la fortuna di avere.
Quasi come un'immagine emblematica della nostra situazione allo sbando, getto un ultimo sguardo al mio amato bosco, sgomento sul suo presente, angosciato sul suo futuro.
Credo sia arrivato il momento di tornare a casa; Foglino è moribondo, ma anche io non mi sento tanto meglio...
losgio
NYSSA SYLVATICA
Uno dei miei alberi preferiti è la Nyssa Sylvatica. Eppure non è stato sempre così. La presentazione dell'albero, per gli amanti delle colorazioni autunnali, parla da se: con l'arrivo dei primi
freddi le foglie di un bel verde, intenso, lucido e fresco cambiano tonalità e passano attraverso tutta una gamma di sfumature al giallo, all'arancio, al rosso; splendido! Solo che questa
descrizione si adatta perfettamente ad una serie di piante che poi alla prova dei fatti non rende assolutamente le aspettative. Questo era il motivo per il quale la prima volta che trovai una
giovane pianta di Nyssa Sylvatica l'acquistai senza farci troppo affidamento, disilluso dai troppi fallimenti. La specifica del cartellino apposto sull'arbusto aggiungeva inotre " di non rapida
crescita, annaffiature frequenti, amante dei luoghi umidi, non teme il freddo". Perfetto, mi dissi, nel nostro clima mediterraneo( 50 km a sud di roma),marcata aridità estiva(anche 90 giorni
senza una goccia d'acqua), un bel terreno sabbioso che non trattiene neanche un minimo d'umidità mi fai vedere la carbonella d'autunno, altro che colorazioni autunnali. In realtà la Nyssa nei
suoi luoghi d'origine (America settentrionale e centrale e specificamente tutta la costa orientale) si adatta a tutta una gamma di ambienti che si possono trovare anche nel nostro territorio.E'
vero che predilige le zone umide con terreni acidi,soffici e profondi con piovosità molto superiore a quella che si può incontrare in Italia, ma una volta stabilizzata la pianta sembra non
soffrire la penuria idrica. Di contro le sono assolutamente congeniali le alte temperature estive, non risente dei venti sciroccali (che nella pianura pontina carbonizzano le foglie di non pochi
alberi)e neanche di quelli impetuosi di maestrale, la si può esporre realmente in pieno sole e nonostante tutto ciò, mantiene la sua bella foglia lucida pronta a colorarsi con l'arrivo
dell'autunno.Per giunta non soffre di particolari malattie, non è neanche così lenta di crescita( per lo meno se ha a disposizione terreni sabbiosi dove far affondare in fretta le sue numerose
radici),sono semmai i terreni troppo pesanti e decisamente basici a costituire un limite per la nyssa ed in questi casi è sconsigliata la messa in dimora.In commercio si trovano pure numerose
cultivars dai colori se possibile ancora più spettacolari(Red Red Wine, Hayman Red(m)) e di forme più o meno piangenti(Autumn Cascade(m)), fastigiate o famose per essere cloni di alberi inseriti
in parchi altamente scenografici( fra quest'ultime la Wisley Bonfire(m?)) oppure per un'abbondante produzione di frutti(Miss Scarlett(f)).Delle suddette varietà sembrano attecchire più
velocemente quelle americane ed australiane di quelle inglesi. Se così fosse, la causa probabilmente sarebbe da attribuire alle differenze climatiche con l'UK.Nel caso la si volesse riprodurre
bisogna tenere presente che la pianta è dioica, necessita quindi di maschio e femmina.Io, convinto senza alcun motivo che le mie fossero tutti maschi feci di tutto per trovare la Miss Scarlett e,
appena trovata, lo stesso anno, le Nyssaea fiorirono mostrando di essere tutte femmine.Ad ogni modo la maggior parte delle cultivars hanno un sesso determinato anche giovanissime,quindi non è
necessario riempirsi il giardino di alberi per avere entrambi i sessi. Altra raccomandazione è quella di acquistare esemplari giovani, un po' perchè non è facile trovarli grandicelli e poi con
piante alte 1,5/2 metri l'adattamento è immediato ed anche la crescita. L'albero trova la sua naturale collocazione in un giardino informale, possibilmente nei pressi di uno specchio d'acqua
solitario od insieme ad altri alberi dalla vivace colorazione autunnale, tenendo in mente che, probabilmente, qui in Italia non cresce quanto nei suoi luoghi d'origine(25 mt),il portamento
selvaggio dei rami contorti, la corteccia che con la crescita tende a farsi sempre più corrugata, lo fanno apprezzare anche nei mesi invernali. La prossima volta parlerò di un'altra Nyssa,una sua
parente asiatica: la Nyssa Sinensis, altro albero veramente interessante
losgio